L’animale in questione sta ancora masticando ignaro e tranquillo la sua quota di fieno sulla mangiatoria. Non sa ancora che la sua sorte è segnata, e che qualcuno ha già deciso per lui la data e l’ora del patibolo.
Ma, non appena se ne accorge grazie alle sue sensibilissime antenne telepatiche, i suoi muscoli già induriti dalla immobilità della stalla-carcere, si bloccano del tutto per un paio di giorni almeno e la sua carne diventerebbe durissima e inutilizzabile dopo l’assassinio in tale stato.
Per renderla meno dura, per far sì che la sua bistecca diventi più morbida e masticabile, l’animale viene lasciato a digiuno prima della barbara esecuzione. Con questo stratagemma, diminuisce la concentrazione di proteine fibrillari, cala il glucosio nel sangue e aumenta l’acqua trattenuta nella muscolatura. E, mentre l’anima sua vola al più alto dei cieli indurita dalle sofferenze inflittegli, la sua carne rimasta in terra a disposizione dei carnefici diventa a sua volta più tenera e delicata.
Dopo il rigor mortis, inizia il processo di frollatura, che è una brevissima stagionatura volta a rendere la carne ancora più molle, e che prelude alla vera e propria putrefazione. Guai permettere però che la putrefazione avvenga a quel punto. Sarebbe come far perdere ogni valore commerciale al pezzo di cadavere che si sta maneggiando. Occorre giostrare in modo opportuno tra mollezza e putrefazione, col prezioso aiuto del freddo, esattamente come si fa nell’autopsia di una salma, per determinarne le ragioni reali della morte o le condizioni reali dello scomparso al momento del decesso.
La putrefazione deve avvenire non all’esterno, ma all’interno del corpo di chi mangerà quel brandello di cadavere. Il disfacimento, lo schifo, l’orribile puzzo del disfacimento, deve avvenire all’interno dell’uomo, dove ci sono le condizioni ideali di caldo e umidità per la disintegrazione di tale ordigno ecologico. Così il cliente paga e riempie il proprio tubo gastrointestinale di fetore e di veleni, mentre il macellaio sorride e si guadagna il suo soldo.
Dopo il rigor mortis, inizia il processo di frollatura, che è una brevissima stagionatura volta a rendere la carne ancora più molle, e che prelude alla vera e propria putrefazione. Guai permettere però che la putrefazione avvenga a quel punto. Sarebbe come far perdere ogni valore commerciale al pezzo di cadavere che si sta maneggiando. Occorre giostrare in modo opportuno tra mollezza e putrefazione, col prezioso aiuto del freddo, esattamente come si fa nell’autopsia di una salma, per determinarne le ragioni reali della morte o le condizioni reali dello scomparso al momento del decesso.
La putrefazione deve avvenire non all’esterno, ma all’interno del corpo di chi mangerà quel brandello di cadavere. Il disfacimento, lo schifo, l’orribile puzzo del disfacimento, deve avvenire all’interno dell’uomo, dove ci sono le condizioni ideali di caldo e umidità per la disintegrazione di tale ordigno ecologico. Così il cliente paga e riempie il proprio tubo gastrointestinale di fetore e di veleni, mentre il macellaio sorride e si guadagna il suo soldo.
L’oltretomba del povero animale eliminato finisce per essere situato nell’apparato intestinale di qualche manciata di uomini disposti a fare da cimitero chimico collettivo per i suoi resti. La carne diviene sempre più flaccida e cedevole man mano che avanza il processo di disgregazione cellulare e di disfacimento proteico ....
(tratto da "L'avvelenamento e il doping da carne" di Valdo Vaccaro )
Per un'ampia selezione dei libri di Valdo Vaccaro, vedi qui.
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