Guru Nanak Dev Ji di Hari Simran Singh Khalsa


Sat Nam. L’immagine di Guru Nanak che trovate, sembra sospesa nel tempo, matrice di altre immagini che racchiudono invece un tempo, un’ora, un momento del vissuto. Yogi Bhajan diceva che è il ritratto che meglio riproduce le caratteristiche somatiche di Guru Nanak.


Il corpo del Guru è dorato perché incorruttibile come l’oro. Ma il corpo è anche la manifestazione del Guru: la Sua Parola. Il corpo è la Shabad, ciò che è capace di tagliare l’ego. La mano destra e il piede destro sono visibili mentre rimangono nascosti la mano sinistra e il piede sinistro: questo suggerisce l’idea che il Guru ha una parte manifesta che può essere conosciuta, mentre c’è una parte che è misteriosa e inconoscibile.

Possiamo infatti attraverso una pratica sincera di ascolto e di integrazione, capire e seguire i suoi insegnamenti, ma non possiamo cogliere la Sua Saggezza e la fonte originaria di Essa. A meno che non diventiamo noi stessi Nanak: L’Unità nella dualità.

L’immagine del corpo fisico è avvolta, quasi incastonata, come la montatura di un gioiello, da un mantello blu. Blu come la notte in cui si staglia la luce della Conoscenza, blu come il sangue privo di ossigeno che nelle divinità indiane è sinonimo di divino, della capacità di vivere senza il bisogno di respirare, blu come l’austerità di chi vive senza sprechi, un mantello blu per ricordare la morte che ci accompagna in ogni momento, blu come la trasformazione che è l’orma di ogni passo. Ai lati di Guru Nanak scorrono due fiumi. L’avvento di Guru Nanak trovò un’India confusa nei vortici della dualità: alla separazione tra le scelte ascetiche di una parte della società, cosiddetta spirituale, e quelle della maggioranza della società, che era coinvolta negli obblighi degli impegni sociali, si aggiungeva il confronto tra la religione dei conquistatori e imperatori Moghul, L’Islam, e le religioni che si erano affermate e radicate nella penisola indiana, prima fra tutte la multiforme religione Indù.

Nanak è sintesi, è ciò che si trova lungo il percorso spirituale di questi grandi fiumi, la loro confluenza naturale, la non dualità. Un fiume procede dalle montagne dei ghiacciai eterni, il freddo sentiero della disciplina, l’altro scorre placido dalle miti colline e dai laghi tranquilli, il caldo percorso della conoscenza.

Alle spalle di Nanak si erge un albero dal fusto schietto, radioso di rami, carico di foglie e piccoli frutti maturi. L’albero è coscienza in evoluzione, coscienza che si arricchisce con l’esperienza. Le sue radici sono nel Guru, infatti Nanak è “Mul” , radice: egli stesso è Mul Mantra. I fiumi scorrono a valle mentre l’albero si protende verso l’alto; possiamo leggere qui la tecnica fondamentale dello Yoga: l’energia vitale prana e l’energia di purificazione apana si uniscono per stimolare Mulhadara, il chakra della radice, la sede della Kundalini, perché questa ascenda lungo i centri sottili detti spinali.

Un piccolo pappagallo verde osserva da un ramo pronto a ripetere il canto dell’Amato Maestro e a seguire Nanak per la gioia dello stesso Guru. Sei tu, il piccolo devoto che si entusiasma e si commuove nella recitazione del Nome prezioso. L’uccellino bianco è la dimensione di Guaritore dell’Umanità di Nanak, mentre il pappagallino verde è la Sua dimensione compassionevole di fronte alle difficoltà dell’essere umano.

Il Guru indossa tre mala, i rosari di ventisette, cinquantaquattro o centotto perle. Un mala è nella sua mano e rappresenta il Guru che agisce come entità creativa, protettiva e di trasformazione: Hari, la Coscienza in azione. Dalla mano destra il mala poggia sul terreno perché la Shabad, la Parola, vivifica l’esistenza. Il rosario che è appoggiato sul turbante rappresenta l’imperturbabile, l’irremovibile, lo Shiva sul monte Kailash: La Coscienza assoluta, fonte radiante senza fine.

L’occhio del Guru contempla l’orizzonte, rivolto alla neutralità di una visione che comprende le tre qualità della vita, tamas, rajas e sattva; questa visione si rivolge al piano orizzontale dell’esistenza anche a sottolineare l’importanza di interagire con ogni momento dell’esistenza stessa. Il terzo rosario pende dal collo e va a descrivere e a decorare l’ “area” del cuore. Questo mala è fatto di perle più grandi di quello del turbante e il loro numero complessivo è doppio rispetto alle perle di quello che il Guru tiene nella mano. La presenza di un terzo fattore che unifica e dà un senso a due elementi opposti è sempre presente nella predicazione di Nanak: dal concetto di creatività universale, Ik Ong Kar, al tentativo di pacificare Islam e Induismo. Il cuore è l’azione saggia e cioè senza macchia, l’applicazione compassionevole del comando, l’Hukam del Guru.

Sul piede destro brilla un Sole: il marchio della Divinità, la purificante radianza che si irradia dai suoi passi, cioè dai suoi insegnamenti. Lo stesso Sole brilla intorno alla testa di Nanak ad indicare il destino di chi segue il Guru.

Per questo il devoto anela a posare le sue mani sui piedi del Guru, a realizzare il gesto del Guru Charan o Sat Guru Charan. Per fare ciò bisogna che il Guru sia a noi presente e questa presenza e questo incontro sono possibili tanto nella nostra psiche come nella vita stessa, purchè si agisca con spirito di devozione, umiltà, contemplazione e partecipazione.

Questa immagine ti parla, in essa c’è la bellezza e il mistero della Comunicazione. Utilizzala come Tratakam. Ponila ad una distanza di un metro e mezzo circa da te, con due candele accese ai lati. Fissa gli occhi di Nanak, rimani in silenzio e contempla. Puoi farlo prima di andare a dormire per undici minuti. Continua per quaranta giorni. Il tuo sonno cambierà, la tua veglia cambierà, la tua comunicazione e la tua stessa vita cambieranno.

Fonte: Hari Simran Singh Khalsa (http://www.yogasangat.it)
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